Come è noto gli scavi dell'Università degli Studi di Milano hanno portato a luce, sul pianoro della Civita, un antichissimo “complesso monumentale” risalente alle origini della città. La più remota fase di vita del ‘complesso’ risale alle origini dell’aggregazione del nucleo urbano (X sec. a.C.), attorno a una cavità naturale, riconosciuta grazie a tracce di attività cerimoniali il cui carattere sacro- istituzionale è successivamente (IX secolo a.C.) confermato dalla deposizione di un bambino encefalopatico, affetto dunque dal “morbo sacro”. Il rinvenimento è eccezionale in quanto evoca la vicenda tagetica e si collega alle credenze primigenie della religione tarquiniese, fondate sul primato della città nella trasmissione della religione a tutto il resto dell’Etruria.
La strutturazione del ‘complesso’ nell’età del Ferro comprende rituali prima sconosciuti: sepolture di individui morti per cause naturali e violente caratterizzano i momenti cruciali della vita della città. Fra questi si segnala il primo “delitto religioso” scoperto in Etruria, ovvero un individuo da porre in stretta relazione con l’inserimento di Tarquinia nella rete degli intensi traffici con il mondo egeo-anatolico (metà dell’VIII secolo a.C.).
L’apertura mediterranea è testimoniata anche da altri reperti e monumenti provenienti dallo scavo distribuiti su un arco cronologico che può iniziare, al più presto, attorno alla fine del X e gli inizi del IX secolo a.C. e, al più tardi, nella prima metà dell’VIII secolo a.C. per durare, come si è visto, almeno fino al VI secolo a.C.
Il tempio era stato inaugurato con la deposizione di un complesso set di vasellame da banchetto e tre eccezionali oggetti di bronzo ormai molto noti: una tromba-lituo, uno scudo e una scure. L’associazione, finora unica, è interpretata come offerta di un re-sacerdote alla massima divinità femminile etrusca, Uni, il cui nome torna in iscrizioni di epoca tardo-orientalizzante e, in seguito, in epoca arcaica nella forma Xia.
Dopo la consistente fase struttiva del periodo orientalizzante, il ‘complesso’ diviene sempre più imponente in epoca arcaica. Reperti ed edifici rinvenuti nel corso degli anni testimoniano la sua duratura funzione di luogo di aggregazione e di memoria. Il susseguirsi di azioni rituali nel corso dei secoli rinvia a principi fondanti delle società arcaiche e trova espressione oltre che nel concetto di memoria anche in quello di attaccamento al luogo ancestrale. Esplicitano bene questo concetto il cosiddetto “deposito reiterato”, posto sopra un’area di culto risalente al periodo villanoviano, e l’incastonatura a giorno di due olle all’interno del muro che sigillava due individui deposti secondo i criteri in uso al ‘complesso’ già a partire dal IX secolo a.C.
Le tracce della frequentazione più tarda si concentrano nel settore nord-orientale. Proprio in corrispondenza di questo angolo del recinto che racchiude il tempio-altare, lo scavo ha messo in luce un consistente riempimento databile alla prima età imperiale, relativo alla chiusura definitiva di un pozzo sormontato da una rarissima struttura ad arco in bei conci regolari a cuneo con grande fornice centrale. Appartiene alla medesima tipologia della celebre Cloaca Maxima della Roma arcaica, non casualmente connessa al nome della dinastia etrusca dei Tarquini e ai loro maestosi interventi. Poco distante, nel 2013 è stata rinvenuta completamente colmata una eccezionale struttura ipogeica che ha restituito una notevole quantità di resti umani e reperti riferibili agli orizzonti più tardi della frequentazione al 'complesso'.
Per approfondire la dinamica degli interventi, le aree indagate e risultati ottenuti in più di trenta anni, si rimanda alla produzione scientifica correlata.